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Venerdì, 19 Aprile 2024

Olio e salute: extravergine di oliva di qualità

La lunghezza della nostra vita dipende dalla genetica solamente per il 20% mentre per l’80% è determinata da fattori ambientali ed alimentari. Condannati alcuni comportamenti dannosi quali il fumo di sigaretta, l’uso di droghe e l’alcolismo e ricordati gli effetti deleteri dell’inquinamento ambientale, possiamo affermare che una lunga aspettativa di vita presuppone un ambiente salubre, una buona attività fisica ed una corretta alimentazione. Questa deve comprendere ogni giorno, per ogni Kg del nostro peso (riferendoci al peso corporeo ideale e non a quello reale, che potrebbe essere anche molto superiore o inferiore), 1 g di proteine, 1 g di grassi e 4 g di zuccheri, questi ultimi da aumentare proporzionalmente alla quantità di attività fisica e costituiti da amidi almeno per il 90%, poiché limitare gli zuccheri semplici a meno del 10% aiuta a ridurre la possibilità di ammalare di diabete. Sono poi indispensabili il corretto apporto idrico, 20-40 g totali di fibre, il giusto quantitativo di vitamine ed oligoelementi.

Visto che trattiamo di olio extravergine di qualità, ritengo utile valutare, assieme a Voi, se un grasso vale l’altro oppure no, cercando conseguentemente di capire se e quanto sia opportuno prestare attenzione a questa parte fondamentale della nostra alimentazione.

Dopo la rivoluzione industriale la coltivazione dei cereali ha visto l’impiego di pesticidi a volte massiccio, associato ultimamente anche all’introduzione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) che possono contribuire a ridurre la biodiversità.

Questo rende possibile la presenza di tracce di pesticidi o anticrittogamici nel nostro cibo, quantitativamente regolamentati per la dose massima ammissibile da apposite leggi.

Poi c’è lo sfruttamento esasperato dei cereali con la suddivisione minuziosa e la purificazione dei loro componenti, fino ad ottenere, ad esempio, le “farine magiche” utili per certe preparazioni, ma potenzialmente capaci di aumentare l’insorgenza di allergie o celiachia, rientrando comunque nel limite dell’accettabilità.

I legumi hanno minori esigenze di trattamenti e sono sempre la componente da privilegiare per l’assunzione di almeno il 50% del fabbisogno di proteine.

Del pesce, che sempre più spesso deriva da allevamento e che a volte proviene da zone lontane, come il delta del Mekong da cui importiamo il Pangasio di cui ben pochi immaginano la provenienza, dobbiamo conoscere soprattutto la possibilità di accumulo di metalli pesanti quali il mercurio, dannosi per la nostra salute e presenti particolarmente nelle specie longeve e di grandi dimensioni come tonni, pesci spada, ecc. Ciò dovrebbe indurci a preferire il consumo di pesci di piccola taglia o dalla vita breve, come sardine e sgombri, meno soggetti all’accumulo.

Gli allevamenti di carne bovina sono stati a volte condotti insensatamente con l’utilizzo di estrogeni per favorire la velocizzazione dell’accrescimento. Gli animali da allevamento in genere, iniziando da polli e conigli, vengono inoltre trattati massicciamente con antibiotici (quasi il 70% degli antibiotici prodotti al mondo sono destinati a questo impiego), contribuendo all’incremento della selezione di germi antibiotico resistenti. Tutto questo ha cambiato la qualità dell’alimentazione umana in maniera comunque ancora abbastanza tollerabile.

La componente della nostra alimentazione che ha subito i maggiori cambiamenti, per lo più a nostra insaputa, è quella lipidica.

L‘uomo si è evoluto mangiando il grasso degli animali che cacciava o allevava e quello presente nel latte e derivati, cui aggiungeva per lo più inconsapevolmente piccole quantità di grassi vegetali assunte consumando frutti o semi di piante oleaginose, fin quando ha imparato alcune migliaia di anni fa ad estrarre l’olio dalle olive.

Da circa due secoli la necessità di alimentare una popolazione mondiale in continuo incremento ha poi favorito l’impiego sempre maggiore di piante oleaginose per la produzione di oli vegetali, che vengono in genere commercializzati a prezzi contenuti.

L’olio da olive è attualmente il più costoso e quello meno utilizzato tra i grassi vegetali: nel totale del loro consumo mondiale costituisce poco più del 3 %.

Sorge quindi spontaneo chiedersi se valga la pena spendere di più, anche oltre quattro o cinque volte il prezzo di un olio di semi, per portare a tavola un extravergine di qualità.

Oggi sentiamo enfatizzare spesso, nella pubblicità, che quel determinato prodotto alimentare è: “senza olio di palma”! Demonizzando ciò che finora abbiamo utilizzato massicciamente in una gran quantità di cibi confezionati. Nessuno però ci mette in guardia nei confronti dell’utilizzo di grassi idrogenati e TRANS, né tantomeno della presenza, in tutti i grassi vegetali ottenuti con metodi chimici, di glicidil esteri e di possibili tracce dei solventi utilizzati per l’estrazione. Per contro c’è chi ancora vuol farci credere che consumare un certo olio può “aiutarci a saltare lo steccato”.

Proviamo quindi a capire meglio che cosa sia opportuno mangiare, partendo dalla consapevolezza che ogni grasso vegetale, extravergine compreso, è composto da trigliceridi, ma che ognuno ha una sua particolare composizione in acidi grassi.

Alcuni, come l’olio di palma e quello di cocco, hanno una forte prevalenza di grassi saturi, mentre in quelli ottenuti da mais e girasole prevalgono nettamente i polinsaturi, definiti anche “essenziali” in quanto dobbiamo assumerli con la dieta, al pari degli aminoacidi essenziali, non potendoli sintetizzare con il nostro metabolismo.

Ma cosa significano le parole “saturo, monoinsaturo e polinsaturo”?

Degli acidi grassi essenziali molti sanno che sono i famosi omega 3 (n 3-ac. linolenico) ed omega 6 (n 6-ac. linoleico), ma pochi conoscono che questa definizione indica il punto in cui è posto il primo dei due o più doppi legami nella catena di atomi di carbonio che li costituisce. In particolare n 3 significa che il primo dei doppi legami è posto dopo il carbonio 3 a partire dal gruppo metilico, n 6 dopo il carbonio 6, ecc.

Il legame tra gli atomi di carbonio degli acidi grassi è quasi sempre singolo e forte: possiamo immaginare l’acido grasso come una collana di perle, per lo più in numero di 16 o 18, tenute assieme da un cordoncino molto robusto. Se tutti i legami sono singoli e forti, l’acido grasso è definito “saturo”: gli acidi grassi saturi aventi più di 14 atomi di carbonio tendono ad avere forma rettilinea e a temperatura ambiente in genere sono solidi.

Quando uno dei legami tra gli atomi di carbonio è doppio siamo in presenza di acidi grassi monoinsaturi: l’acido oleico, n 9, avente 18 atomi di carbonio, è il maggiore rappresentante di questa categoria. Nel punto in cui c’è il doppio legame la molecola di acido grasso si piega di circa 60° per la presenza di due atomi di idrogeno posti dalla stessa parte, cioè in CIS, che si respingono a causa della loro carica positiva: i grassi monoinsaturi hanno una sola curvatura ed a temperatura ambiente tendono ad essere liquidi.

Gli essenziali, o polinsaturi, posseggono due o più doppi legami, quindi due o più piegature che gli fanno assumere una conformazione “a ricciolo”.  

Tutti i doppi legami sono deboli (immaginiamo che nella collana due o più perle siano tenute assieme non da un cordoncino robusto, ma da due fili sottili) e costituiscono il sito in cui più facilmente può legarsi l’ossigeno, con conseguente ossidazione che, aumentando nella quantità, arriva a determinare l’irrancidimento del grasso. Il fattore di irrancidimento è 1 nei grassi saturi, 10 nei monoinsaturi, 100 nei polinsaturi con 2 doppi legami, 1.000 in quelli con 3 doppi legami.

Per evitare l’irrancidimento, molto facile soprattutto nei polinsaturi, alcune industrie alimentari, utilizzando elevate temperature ed il nikel quale catalizzatore, iniziarono a fissare un atomo di idrogeno nel punto dei doppi legami ove si legherebbe l’ossigeno, ottenendo l’acido grasso idrogenato. Disponibile per l’alimentazione umana da poco più di 150 anni, questo cambia la sua forma perdendo le curvature preesistenti per diventare rettilineo.

Tutti i grassi vegetali e l’olio d’oliva, per la parte proveniente dalla raffinazione del lampante, vengono estratti, o raffinati, mediante solventi e diversi procedimenti chimici, con l’utilizzo di alte temperature. Questi procedimenti sono capaci di spostare i doppi legami dei polinsaturi e far ruotare di 180° uno dei due idrogeni in CIS, generando i grassi TRANS, che diventano rettilinei come gli idrogenati.

Acidi grassi TRANS sono inevitabilmente presenti in tutti gli oli vegetali ottenuti con metodi chimici.

Il nostro organismo riesce ad assorbire facilmente ed utilizzare vantaggiosamente i polinsaturi CIS presenti da sempre in natura (ad esempio nel pesce azzurro o nell’olio extravergine di oliva) mentre assorbe lentamente ed utilizza malissimo i polinsaturi TRANS ed i grassi idrogenati. 

Noi mangiamo, spesso inconsapevolmente, acidi grassi idrogenati e acidi grassi TRANS e li facciamo mangiare ai nostri figli, ad esempio in molte merendine industriali, oppure in altri cibi a larga diffusione confezionati con il loro impiego.

Non riconoscendo come estranei i grassi idrogenati e i TRANS, che mai abbiamo incontrato nei precedenti milioni di anni della nostra evoluzione, oltre a metabolizzarli in maniera poco corretta li utilizziamo al pari dei normali polinsaturi quali costituenti strutturali delle lipoproteine e soprattutto delle nostre membrane cellulari, con il risultato di alterarne la funzione spesso in modo grave, a causa dell’inserimento di acidi grassi ridiventati rettilinei al posto di quelli che avrebbero dovuto possedere una forma “a ricciolo”. Questo può alterare gravemente i meccanismi di scambio vitali per le cellule arrivando a causarne la morte e può anche facilitare l’insorgenza di malattie tumorali.

Un recente studio dell’EFSA ha inoltre evidenziato che soprattutto nell’olio di palma, ma in misura minore anche in tutti gli oli vegetali ottenuti con metodi chimici, sono presenti glicidil esteri, 2-monocloropropandiolo e 3-monocloropropandiolo, sostanze genotossiche e cancerogene di cui ancora non è stata stabilita la soglia di accettabilità nell’adulto, che comunque dovrebbero essere assolutamente evitate nell’alimentazione dei bambini.

Queste notizie in genere non arrivano al grande pubblico, rappresentando un esempio di come certa pubblicità metta in grande evidenza benefici teorici, o molto parziali e possibili solamente in poche situazioni (come nel caso dell’olio di Lorenzo), evitando di prendere in considerazione gli svantaggi ben maggiori che possono derivare dal consumo frequente di grassi vegetali di dubbia qualità.

Qual è il cibo ideale per l’uomo? O meglio: esiste un cibo che, da solo, possiamo assumere per un anno mantenendoci in perfetta salute?

A questa domanda si ottengono in genere le risposte più disparate: il pane, le uova, la frutta, eccetera: solo molto raramente qualcuno indica correttamente il latte materno.

Nella sua composizione bromatologica che varia un po’ con il periodo di lattazione e l’aumento dell’età del neonato, questo è sicuramente l’alimento ideale, il “giusto carburante” per il nostro organismo, che lo utilizza completamente senza sprechi e quasi senza produrre “scorie”.

Il latte umano contiene anche grassi, per una quota variabile tra il 3 ed il 5 %, rappresentati da monoinsaturi per circa il 73 % (per lo più acido oleico), saturi per circa il 14 % (acido Palmitico e Stearico) e polinsaturi per circa il 13% (acido Linolenico e Linoleico).

Nel latte materno quindi il rapporto tra saturi e polinsaturi è quasi 1/1 ed il rapporto tra n3 ed n6 è circa 1/10: questi sono approssimativamente i numeri percentuali espressi dalla composizione lipidica degli oli extravergini di oliva di qualità.

Nessun altro olio vegetale si avvicina a questi numeri:  l’olio di palma, molto usato per la frittura anche delle patatine, o nella composizione di molti cibi industriali, è costituito per oltre il 50% da ac. grassi saturi, quello di cocco può arrivare ad averne addirittura oltre il 90%.

Giustamente noi temiamo molto i danni provocati dall’eccessiva assunzione di grassi saturi, sapendo che questi possono portare facilmente all’aterosclerosi, all’infarto del miocardio e ad aumentare la tendenza all’obesità. Di conseguenza siamo attenti, anche eccessivamente a volte, a togliere il grasso dal prosciutto, o dalla carne, ma mangiamo e facciamo mangiare ai nostri figli notevoli quantità di cibi industriali contenenti eccessive quantità di grassi saturi.

Il mais, il girasole e la soia producono invece oli ad elevato contenuto di polinsaturi (anche fino ad oltre il 65%). Proprio l’elevato contenuto di polinsaturi, che contribuiscono a comporre le lipoproteine benefiche per le nostre arterie, fornisce il pretesto agli spot pubblicitari televisivi centrati sul salto dello steccato, che ci inducono a credere che il consumo costante ed abbondante di oli di semi ad alto contenuto di polinsaturi possa aiutare il nostro cuore, preservandolo dalle malattie coronariche.

Un eccessivo consumo di polinsaturi potrebbe invece costituire un problema per il nostro organismo, per la scarsa capacità metabolica nei loro confronti che può portare alla formazione di perossidi: questi sono tra i peggiori nemici delle nostre cellule, responsabili dell’invecchiamento ed ancora una volta della possibile facilitazione di insorgenza di malattie tumorali.

Queste sono già motivazioni sufficienti per preferire il consumo di Olio di Oliva Extravergine di qualità a quello di qualunque altro grasso vegetale, poiché è l’unico a vantare una composizione percentuale dei suoi acidi grassi praticamente uguale a quella del latte materno, come pure dei grassi di deposito del nostro organismo, risultando quindi anche il più digeribile e salutare. 

Degli extravergini attualmente prodotti nel mondo la maggioranza è costituita da oli di basso prezzo, ottenuti da olivicoltura intensiva in impianti altamente meccanizzati oppure in Paesi che hanno un basso costo del lavoro umano. Poiché l’olio Italiano gode ancora nel mondo di notevole prestigio, questi oli vengono a volte commercializzati con marchi italiani appartenenti ormai per buona parte a Società Spagnole, Svizzere, eccetera, che li utilizzano per vendere con maggiore profitto, nella grande distribuzione, prodotti provenienti soprattutto dal bacino del Mediterraneo. Questi extravergini commerciali, che a volte vengono caratterizzati da etichette che attribuiscono loro qualità di robustezza o di delicatezza, o altre definizioni usate per catturare l’attenzione del consumatore medio, pur rientrando a pieno titolo nella classe merceologica dichiarata, difficilmente possono essere considerati di qualità.

Quali sono gli elementi che possono farci definire “di qualità” un extravergine?

Dobbiamo considerare dapprima la composizione dei lipidi, che rappresentano oltre il 98% del suo peso e costituiscono la “frazione saponificabile”.

Alta qualità è posseduta da quei prodotti che hanno un giusto contenuto in acido oleico ed i rapporti tra saturi/insaturi e tra n 3 ed n 6 simili a quello del latte materno, come già descritto.

Alla valutazione organolettica una ottimale presenza di acido oleico ed un giusto contenuto di polinsaturi conferiscono all’olio un’apprezzabile fluidità.

La “frazione saponificabile” da sola è però priva di colore, odore e sapore: queste caratteristiche fondamentali e peculiari degli extravergini di qualità sono dovute alla presenza della “frazione insaponificabile”, costituita da oltre 200 componenti che rappresentano tutti assieme meno del 2% del peso dell’olio. Tra questi spiccano lo squalene, poi cere, alcoli di- e tri-terpenici ed alifatici, sostanze coloranti quali la clorofilla che conferisce il colore verde ed i caroteni che determinano il colore giallo, quindi vitamine liposolubili (A, D, K), antiossidanti tra cui i biofenoli (che correntemente vengono chiamati polifenoli) ed i tocoferoli (vitamina E).

Questi componenti conferiscono all’olio colore, profumi e sapori, determinandone tutte le qualità organolettiche positive, comprese le importantissime caratteristiche di amaro e piccante dovute alla presenza dei polifenoli, perdute nell’olio di oliva a seguito dei metodi utilizzati per la raffinazione, come anche negli altri oli vegetali a causa della loro estrazione mediante procedimenti chimici.

Tra gli antiossidanti presenti nell’olio extravergine di oliva di recente è stata evidenziata l’importanza dell’oleocantale, derivante dall’oleuropeina aglicone, avente struttura chimica molto simile all’ibuprofene. Responsabile della sensazione piccante, questo possiede anche una spiccatissima capacità di inibizione della ciclossigenasi e quindi notevoli proprietà antiossidanti, antiinfiammatorie ed antitumorali.

 La presenza dell’amaro e del piccante, che sono ben apprezzabili quando i polifenoli totali superano le 200-250 parti per milione misurate in acido gallico, testimonia quindi l’alta qualità di un extravergine, capace di apportare notevoli benefici alla nostra salute iniziando dallo svezzamento, per proseguire poi durante tutta la nostra vita. Consumare 20 – 40 g al giorno di olio extravergine di oliva di qualità, aggiungendolo a crudo sui cibi, è sufficiente a garantire l’assunzione della  giusta quantità di acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili, oltre ad un importantissimo apporto di antiossidanti naturali.

Evitare il consumo di grassi lontani dalla composizione di quello contenuto nel latte materno, con eccessiva percentuale di saturi o di polinsaturi, peggio se contenenti TRANS o idrogenati, assumendo quotidianamente la corretta quantità di extravergine di qualità, può contribuire a ridurre l’insorgenza delle malattie cardiovascolari e dell’infarto, può ridurre la gravità dell’osteoporosi e del diabete, del Morbo di Parkinson e dell’Alzheimer, ma soprattutto può contribuire a ridurre l’insorgenza di tumori della mammella, dell’ovaio, dello stomaco, dell’esofago, dei polmoni, del colon e della prostata di percentuali importantissime, variabili dal 30 al 70 % a seconda dei vari organi considerati, come ormai dimostrato dai pochi, ma seri, studi scientifici pubblicati.

Risparmiare sull’olio usato quotidianamente nelle nostre case sembra quindi la peggiore delle scelte, soprattutto sapendo che all’alimentazione i nostri nonni dedicavano il 60% del PIL, mentre oggi il totale della spesa per il cibo, compresi i Ristoranti, le pizzerie, il vino ed ogni altra bevanda, è soltanto il 16%, contro il 17% che dedichiamo ai telefoni ed alla televisione.

Saremmo quindi sicuramente più intelligenti se facessimo qualche telefonata in meno per dedicare 100-150 € annui così risparmiati a permetterci l’acquisto di extravergini di qualità invece di altri oli, scadenti organoletticamente e a volte potenzialmente dannosi per la nostra salute.

Gli oli extravergini di oliva di qualità, oltre ai grandi benefici per la salute, regalano anche gioia al palato, soprattutto se si impara ad usarli bene tutti i giorni seguendo i nostri suggerimenti sul loro utilizzo in cucina.  

Renzo Ceccacci

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